8 gennaio 1922 – 8 gennaio 2022

San Fratello ricorda nel silenzio la grande frana del 1922
8 gennaio 1922, la grande frana di San Fratello

Nel 1922 San Fratello era uno dei paesi più popolosi e importanti dei Nebrodi; l’evento franoso non fu il primo e purtroppo neanche l’ultimo, ma certamente il più grave che il paese e i suoi abitanti hanno subito nella loro storia.

Gran parte della popolazione perse la propria abitazione e la comunità vide distrutti gran parte dei suoi edifici storici e religiosi; in tanti furono costretti a lasciare il proprio paese che si decise di dover ricostruire nella allora frazione di Acquedolci, che al tempo era un borgo per lo più raccolto attorno all’antica torre e al castello e che da sempre, e ancora oggi, veniva chiamato dai sanfratellani “la Marina“.

Così venne pianificata la costruzione della Nuova San Fratello, destinata però a diventare negli anni Acquedolci.
La storia del nostro abitato e del nostro Comune è per questo fortemente legata a questo evento, che anche noi sentiamo di dover ricordare. Occorsero 50 anni ad Acquedolci per diventare Comune autonomo.
L’autonomia deve essere però considerata autarchia, cioè autosufficienza, e non “indipendenza”, poiché un figlio maggiorenne acquisisce la propria autonomia rimanendo legato indissolubilmente alla propria famiglia di origine. Secoli di storia accomunano San Fratello e Acquedolci, gran parte degli abitanti di Acquedolci ha origini sanfratellane e ancora oggi i legami familiari ed economici sono molto forti, e nessuna delle due comunità deve dimenticarlo.

Il difficile periodo storico rende complicato celebrare degnamente l’anniversario, come purtroppo è stato difficile programmarlo. Anche la nostra pro loco ha elaborato alcune proposte che auspichiamo potranno essere condivise e realizzate; abbiamo offerto la nostra collaborazione agli amici sanfratellani e all’architetto Faranda, col quale da sempre in sintonia abbiamo condiviso idee e progetti, con l’intenzione di poter lasciare un segno anche in questa occasione.

Rimandiamo ogni approfondimento storico sugli eventi e la fondazione di Acquedolci all’esaustivo e completo testo dell’architetto Pierpaolo Faranda Città giardino: Il Piano di Acquedolci. Storia e urbanistica di una città siciliana fondata in età fascista (1922-1932) edizioni Qanat 2010; chi vorrà potrà anche leggere, sempre di Pierpaolo Faranda, La fondazione di Acquedolci negli scritti di Benedetto Rubino (1922-1937) edizione Qanat 2013.

Potrebbe essere un'immagine raffigurante il seguente testo "DALLA FRANA DELL'8GENNAIO 1922 ALLA FONDAZIONE DELLA NUOVA CITTA'-GIARDINO CITTA-GIARDINO: piano di Acquedolci Pierpaolo Faranda La fondazione di Acquedolci negli scritti di Benedetto Rubino (1922-1937) Qanat PER PROMUOVERE, RIQUALIFICARE E SALVAGUARDARE L'IDENTITA', IL PATRIMONIO STORICO E IL POTENZIALE TURISTICO DI ACQUEDOLCI"
Le due pubblicazioni dell’architetto Pierpaolo Faranda.
In entrambi i casi la Pro Loco di Acquedolci ha dato il suo contributo, mettendosi a disposizione dell’autore.

CONTRIBUTI ALLA MEMORIA COLLETTIVA

In questa occasione vogliamo condividere un documento e un contributo legati all’evento.

DOCUMENTO

Il documento è un inedito racconto della frana trascritto dall’arciprete Antonino Di Paci nei registri della Parrocchia di Acquedolci, riscontrato da giovani parrocchiani durante la sistemazione dell’archivio parrocchiale circa venti anni fa.

Dai registri parrocchiali
San Fratello ammantata dalla neve prima della catastrofica frana.

L’8 gennaio 1922, una grandiosa frana travolgeva più di un terzo dell’abitato di San Fratello, la parte centrale dove sorgevano tutti gli edifici pubblici e le migliori case dei cittadini, espandendosi poi per parecchi e svariati chilometri, fino al torrente Furiano, distruggendo nel suo travolgente percorso floride e ubertose campagne. In quel rigido inverno del 1922, nei giorni 4, 5, 6 e 7 gennaio era caduta abbondante la neve e tutto l’abitato di San Fratello era coperto da un manto bianco e spesso. Le feste natalizie erano trascorse liete e tranquille. Gli abitanti in maggioranza agricoltori, soddisfatti dell’abbondante raccolto dell’annata stavano tappati in casa a godersi tranquilli attorno al focolare domestico, al calduccio nella propria abitazione, ricca di masserizie e di derrate e nulla sospettavano, né potevano sospettare, che tanta serenità e godimento dovesse presto finire.
Ma venne la fatale alba dell’8 gennaio del 1922 e coi primi albori cominciarono a manifestarsi i primi sintomi della frana, che mostruosa e quasi cauta si avanzava attanagliando e travolgendo brutalmente: prima i quartieri della Murata e Pompa e poi man mano i quartieri della Pescheria, Badìa, Piazza, Porta Sottana, S. Ignazio, Puntalarocca, Maddalena, Valle. E cosìnel suo fatale avanzare venivano sconquassati, travolti e distrutti con le case dei cittadini, tutti gli edifici pubblici: il Municipio, la Pretura, il Teatro, l’Ufficio Postale, la monumentale Chiesa Matrice, il grandioso Monastero e Chiesa delle Benedettine, le Chiese di S. Pietro, S. Giacomo, S. Benedetto, S. Ignazio, S. Maria Maddalena, del SS. Rosario, restando proprio al taglio della frana la bella Chiesa di S. Nicolò, col suo alto e maestoso campanile, gravemente lesionato e pericolante.

L’Arc. Luigi Abate si premurò a far costruire tre grandi bastioni per assicurare la stabilità della Chiesa e il Genio Civile di Messina, non rendendosi conto della gravità del male che continuava a corrodere le basi della Chiesa, buttando milioni senza costrutto, tentò salvare il salvabile abbattendo la navata laterale della Chiesa prospiciente la frana, costruendo muri tra l’una e l’altra colonna per rafforzare e puntellare gli archi soprastanti; ma l’intervento si è dimostrato inutile come purtroppo le tante altre opere fatte dal Genio Civile di Messina nell’abitato di San Fratello: e non passarono che pochi anni che si impose la demolizione completa del campanile e in parte della Chiesa, per evitare qualche altra disgrazia e salvare da sicura rovina i preziosi marmi degli altari.

Alle ore 13 di quel tragico giorno – 8 gennaio 1922 – la campana grande della Chiesa Matrice di Maria SS. Assunta, abbattendosi, insieme alla torre campanaria, dava, con lunghe e profondo rintocco, il triste annuncio dell’immane, orribile catastrofe. Il panico e la confusione di quel sciagurato giorno è stato indescrivibile: gli abitanti dove si manifestava la frana furono costretti a scappare senza poter portare con se la men che minima cosa, perché l’incalzare della frana era travolgente, le case si rovesciavano le une su le altre inesorabilmente, il pericolo diveniva sempre più terrificante. L’accorrere dei parenti dei disastrati e degli amici, autorità e curiosi accrebbe in modo inverosimile la confusione in quel guzzabuglio di neve e di fango: il caos divenne indescrivibile.
E venne la notte e nella notte di quel terribile giorno la frana compì la sua opera devastatrice. Col far del giorno, la mattina del nove gennaio, tutta la parte centrale dell’abitato era divenuta un vasto campo di mostruose e lugubri macerie e tutto tutto intorno alla periferia della gigantesca frana: grida allarmanti, pianti strazianti, lamenti pieni di desolazione della povera gente che aveva perduto la casa con tutti i suoi risparmi, rimanendo sul lastrico senza indumenti e senza mezzi di sussistenza. Sette persone sono rimaste vittime tra le macerie tra cui Filadelfio Caprino, soprannominato Brik, il manticiaro della Matrice, che per cercare di portare in salvo la propria madre malata con una gamba rotta, vi perì insieme.

Il Generale Di Giorgio Antonino accorso subito sul posto del disastro, per dare aiuto ai cuoi concittadini, vuotò i depositi del 12° Corpo d’Armata di cui era Comandante supremo, elargendo ai disastrati coperte, materassi, lenzuola, mantelline, vestiario, generi alimentari, tutto.

Da varie città d’Italia affluirono soccorsi, denaro, indumenti e da Biella balle intatte di stoffe. La città di Palermo col denaro raccolto (…) che per alloggiare i poveri disastrati rifugiatisi, in quel rigido e disagiato inverno in casette di campagna, tra parenti e sotto la strozza di coloro a cui la frana aveva risparmiato la casa.

Con la Legge del 9 luglio 1922 N. 1045 fu decretato il trasferimento dell’abitato distrutto in Acquedolci, dove venne costruito un vasto Piano Regolatore con strade larghe, con banchine, fogne, rete idrica con acqua abbondante, case popolari, il Municipio, la Chiesa, il Cimitero. (il registro continua con altre descrizioni di Acquedolci e della Chiesa Madre)

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arciprete Antonino Di Paci

Padre Nino fu l’artefice dell’autonomia di Acquedolci.
San Fratello, 21 dicembre 1883 – Acquedolci 9 luglio 1972
Arciprete della Parrocchia San Benedetto il Moro di Acquedolci dal 1943 alla morte, designato a guidare il comitato per l’autonomia si occupò di ogni aspetto per portare a termine l’importante proposito, ormai necessità per tutta la sua comunità; determinato e diretto nel parlare e nello scrivere ha anche raccolto e distribuito i suoi ferventi discorsi.
Il 21 dicembre 1969 in suo onore (data del compleanno) si svolsero i festeggiamenti dell’avvenuta autonomia nella sala consiliare di Acquedolci autonomo.
La legge n. 1045 del 09/07/1922 prevedeva la ricostruzione dell’abitato di San Fratello in altro luogo, padre Nino morì il giorno del cinquantesimo della promulgazione della stessa.

1922 San Fratello: gran parte del centro abitato e dei suoi edifici scivolarono a valle, cancellando secoli di storia
Dopo la frana gli abitanti cercano tra le macerie di riconoscere o trovare qualcosa.
Niente fu come prima.
Acquedolci negli anni ’30

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POESIA

Il contributo alla ricorrenza ci viene donato dal nostro socio onorario direttore Alfonso Di Giorgio che ha dedicato un suo septercanto alla Grande Frana, una poesia dedicata alla nonna, testimone della frana. Molti di noi hanno ascoltato dalla voce dei propri cari il racconto di quei giorni e delle sue conseguenze e il ricordo vive in tutte le famiglie.

NOTA AUDIO DELL’AUTORE

Nota: parte delle foto appartiene agli archivi del cavaliere Benedetto Rubino e di Ciro Artale, le altre provengono dal web.