di Ciro Artale

Generale di Corpo d’Armata, Deputato e Ministro della Guerra
ANTONINO DI GIORGIO

luogo e data di nascita: San Fratello – 22 settembre 1867
luogo e data di morte: Palermo – 17 aprile 1932
sepolto a San Fratello (ME)

Condensare la vita del generale Antonino Di Giorgio in poche righe non è possibile, quindi ci limiteremo a raccontare attraverso alcune note essenziali di un uomo che ha dato lustro alla sua e alla nostra terra, lasciando un’importante eredità etica e storica.

Fu un soldato eroico e brillante, abile comandante e stratega, e, pur non essendo un politico, fu Deputato per tre legislature e Ministro della guerra.

Nato a San Fratello (Messina) il 22 settembre 1867 dal notaio Ignazio e dalla baronessa Giuseppina Faraci, si formò sin da piccolo alla vita militare poiché nel 1882 fu ammesso come allievo nel prestigioso collegio militare della “Nunziatella” di Napoli, e completò i suoi studi militari frequentando la Scuola militare di Modena e, in seguito, la Scuola di guerra a Torino.

Si fece onore combattendo ad Adua, nel Benadir e in Libia meritandosi tre medaglie al valore militare, avanzamenti in grado e altre due importanti decorazioni dell’Ordine Militare dei Savoia (la più importante decorazione militare del Regno).

Ebbe modo di dimostrare anche le sue brillanti doti di conoscitore, saggista ed analista militare: in numerosi scritti parlando di importanti figure di generali, non risparmiò critiche e dure stroncature, dirette quanto velate, a quegli ufficiali che oltre ad aver commesso gravi errori sul campo avevano avuto anche l’ardire di scrivere falsità a discolpa.

Grazie ai suoi interventi divenne conosciuto ed apprezzato nell’ambiente militare e strinse rapporti epistolari e personali col generale Cadorna.
Già nel 1903 Carducci ebbe a scrivere di lui: “pensa alto e forte, scrive sincero e franco. è quanto occorre ad uno scrittore militare. Farà onore all’Esercito colla penna non meno che con la spada”.

Nel 1913, ritenuto, a ragione, uno stimato personaggio di prestigio e fama, d’integrità morale adamantina nella sua Sicilia gli fu offerto di candidarsi alle elezioni politiche, nel collegio di Mistretta. In quelle prime elezioni a suffragio universale Di Giorgio si presentò da indipendente con un programma nazionalista e riuscì ad avere la meglio sul candidato ministeriale solo al ballottaggio. Nella sua San Fratello, dove era benvoluto, ottenne la quasi totalità delle preferenze.

Il suo primo discorso politico lo tenne a Messina, città ancora provata dal terremoto del 1908 nel quale era morto il padre. Non fu mai e non si ritenne un uomo politico in senso stretto; era un militare con competenze e conoscenze che sentiva di mettere a disposizione del suo Paese, e non prese mai nessuna tessera di partito. Nazionalista e liberale fu un convinto monarchico e credeva nello Stato costituzionale e nel sistema parlamentare. Da deputato strinse buoni rapporti con influenti uomini politici, colleghi e ministri; alla Camera fece pochi interventi e, intuendo il pericolo della guerra imminente, si spese in ogni modo per richiamare l’urgenza di un rafforzamento dell’esercito.

Dopo lo scoppio della guerra, prima dell’entrata dell’Italia, collaborò con il nuovo Capo di Stato Maggiore Cadorna, svolgendo con discrezione un abile lavoro di mediazione con il parlamento.

Nel 1915, così, lo stesso generale Cadorna volle il tenente colonnello Di Giorgio nel Comando Supremo, ma il Di Giorgio (promosso colonnello) chiese un comando attivo; così divenne un eroe della Grande Guerra: diresse la difesa dell’Isonzo e del Piave alla testa di un Corpo d’Armata Speciale appositamente creato e affidatogli dal Comando Supremo, si distinse anche negli scontri del Tagliamento, del Grappa e del Montello e fu determinante nella battaglia conclusiva di Vittorio Veneto, dando sempre eccellente prova e conseguendo (tra le altre decorazioni) le croci di grande ufficiale dell’Ordine militare di Savoia e di commendatore dell’Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro, oltre alla promozione a tenente generale.

Nel dopoguerra non ebbe comandi attivi, partecipò con autorità al dibattito parlamentare su Caporetto e la condotta della guerra del settembre 1919; poi fu rieletto deputato a Messina in una lista di Destra, continuando a battersi su posizioni nazionaliste in difesa della guerra e per una politica di prestigio.

Il clima politico di quel tempo non era però a lui congeniale, decise quindi di non ripresentare la sua candidatura nelle elezioni politiche del 1921. Diradò i suoi impegni pubblici dedicandosi alle sue risorse economie, che certo non aumentarono mai grazie ai ruoli di prestigio ricoperti.

Il 6 febbraio 1922 sposò Norina Whitaker, appartenente a una famiglia anglo-siciliana di alto censo e prestigio, tra le più importanti della Sicilia.

Il matrimonio, ben voluto da entrambe le parti, non fu certo di interessi.

Nel frattempo il pensiero e l’azione del generale vanno alla sua San Fratello distrutta da una spaventosa frana all’inizio del 1922. Gli appuntamenti mondani tra Palermo e Roma e i viaggi si susseguono, e questi sono anche occasione per incontrare e coinvolgere personaggi di rilievo per la buona riuscita dei suoi progetti e dei suoi sforzi.

Nel 1923, incaricato di accompagnare Re Giorgio V in visita ufficiale in Italia, è insignito dal sovrano inglese con l’onorificenza di Knight Comander of the Royal Victorian Order.

Nel 1924 accompagnò il capo del governo Benito Mussolini, che presto diventerà duce, in visita in Sicilia; insieme fecero tappa a San Fratello ed Acquedolci per incontrare la popolazione ancora in difficoltà dopo la frana e risolvere la questione della ricostruzione.

Tornò ad interessarsi attivamente di politica nella seconda metà del 1923, manifestando piena adesione alla restaurazione condotta da Mussolini, col quale stabili rapporti di stima e fiducia grazie alla mediazione dell’amico Federzoni. Ebbe una parte di rilievo nella preparazione del successo elettorale del “listone” governativo in Sicilia nell’aprile 1924; e si presentò candidato egli stesso, come indipendente, perché (come dichiarò apertamente) la sua condizione di ufficiale gli impediva di accettare una tessera di partito.

Fu eletto e subito nominato Ministro della Guerra (30 aprile 1924) dalla concorde designazione di Diaz, suo predecessore, e di Mussolini, che aveva bisogno di un generale gradito al re e all’esercito, leale verso il fascismo e disposto a accettare un bilancio di economie.

Come ministro della Guerra, difese con energia l’autonomia e il ruolo dell’esercito anche verso il fascismo, vietò esplicitamente agli ufficiali di fare politica, si batté per ridurre il peso della Milizia volontaria per la sicurezza nazionale e ottenne la riabilitazione del Cadorna (promosso maresciallo d’Italia con Diaz il 4 novembre 1924), rendendosi inviso al partito fascista; al contempo, per impedire disordini civili, appoggiò con fermezza il governo Mussolini in tutta la crisi 1924-25, fino a consegnare alla milizia centomila fucili all’indomani dell’assassinio di Matteotti.

Il suo principale obiettivo era fare approvare la sua proposta di un nuovo ordinamento dell’esercito che avrebbe permesso di ridurre i costi e il personale organizzandolo al contempo in maniera efficiente e razionale. Il progetto (riferimento oggi dell’organizzazione di tantissimi eserciti degli Stati moderni), fu portato avanti dal ministro Di Giorgio con intransigente asprezza, nonostante la decisa resistenza di quasi tutti gli alti comandanti e delle opposizioni liberali; per opportunismo non fu sostenuto dal partito fascista, tanto che all’inizio di aprile 1925 Mussolini, che lo aveva richiesto e voluto, decise di mettere tutto a tacere facendo di fatto marcia indietro e sconfessando il Di Giorgio e, dopo le sue immediate dimissioni, assumendo personalmente il dicastero della Guerra.

Profondamente amareggiato, il generale, che non era una persona accomodante e nemmeno un arrivista, lasciò la vita politica e riprese servizio come comandante del corpo d’armata di Firenze e poi, nell’agosto 1926, di Palermo.

Dal 1924 in Sicilia il prefetto Cesare Mori conduceva un’aspra lotta contro la mafia per affermare il controllo del governo centrale e promuovere l’attecchimento del partito fascista nell’isola.

Inizialmente il generale, che aveva consigliato la sua nomina, ebbe un ottimo rapporto col prefetto, ma, in seguito, l’eccessiva spregiudicatezza e i metodi utilizzati dallo stesso provocarono tantissime lamentele da parte di cittadini e persone di rango ritenute rispettabili ed estranee alle accuse; il generale, convocato da Mussolini, riferì sulla situazione e manifestò il suo disagio.

Su richiesta del duce Di Giorgio mise per iscritto con dovizia di particolari quanto già comunicato verbalmente e Mori, intuito o avvertito del pericolo, puntò il generale.

Fu conflitto aperto tra due forti personalità dal carattere forte e spigoloso: Mori costruì strumentalmente il suo attacco e la sua vendetta su un rapporto del commissario Spanò nel quale il nome del fratello del generale era semplicemente associato a quello dei capi mafia del Mistrettese.

Mussolini in un nuovo colloquio personale col generale, conoscendo la fermezza dell’interlocutore, non chiese nessun compromesso ma la riappacificazione tra i due. Il generale che nella sua carriera politica e militare per difendere i valori in cui credeva e per amore della verità aveva sempre pagato di persona, convinto che l’azione del Mori fosse dannosa per la Sicilia e per il governo e per sottrarsi alla parte di responsabilità che, seppur indirettamente, col suo restare al suo posto veniva ad assumere, decise di lasciare il comando del corpo d’armata e si dimise da parlamentare.

Di lì a poco Mussolini, con un semplice telegramma, comunicò al Prefetto Mori che il suo lavoro in Sicilia era finito e lo nominava senatore del Regno. Apparentemente vincitore, anche il prefetto dovette lasciare la scena, l’unico vincitore doveva essere Mussolini col suo governo.

Il generale, lasciato il servizio attivo, non ottenne la promozione a comandante d’armata preannunciatagli già da un anno; si ritirò a vita privata dedicandosi anche alla stesura di studi e ricordi di guerra. Morì a Palermo il 17 aprile 1932 dopo un’operazione alla quale aveva voluto sottoporsi. Il suo funerale fu solenne ed ebbe gli onori che si era meritato con una condotta impeccabile in ogni circostanza in cui si era ritrovato.

A queste informazioni, più o meno presenti in tutte le biografie, vogliamo aggiungere alcune note, per noi non secondarie, che aiutano a comprendere la grandezza del personaggio.

Il generale Di Giorgio viaggiò molto sia per combattere che per conoscere, e riuscì in entrambe le cose. Curioso e di larghe vedute seppe cogliere tutte le novità oltre frontiera, tanto da riportare nella realtà siciliana quanto di buono aveva appreso apportando, da buon conoscitore della sua terra, gli adattamenti necessari per una buona riuscita.

Occorre ricordare l’impegno profuso per la sua San Fratello all’indomani della frana del 1922: fu tra i primi a prestare soccorso alla popolazione e organizzarla per affrontare le prime necessità; perorò e seguì la costruzione della Nuova San Fratello ad Acquedolci, dalla ricerca di fondi alla progettazione e alla realizzazione dell’abitato e delle opere pubbliche, fino al trasferimento dei suoi concittadini. In questo fu un vero e proprio moderno urbanista: concepì la nuova Acquedolci, prototipo di città di fondazione, come una città giardino; successivamente diede il suo contributo nella realizzazione di importanti parchi a Palermo.

Contribuì alla ricostruzione e al rilancio di Messina, che voleva diventasse il terzo porto italiano; il suo amore per la città venne riconosciuto con il conferimento della cittadinanza onoraria.

Ebbe un ruolo decisivo nell’autonomia di Capo d’Orlando.

Forse inconsciamente e per naturale propensione fu un ambientalista:

  • nel giugno del ’27 pronunciò il discorso inaugurale per il primo congresso regionale in favore del rimboschimento dell’Isola
  • nel 1921 partecipò alla costituzione di un comitato che proponeva la costruzione da parte di privati di una stazione turistica sui Nebrodi
  • con il suocero Whitaker prima e il nipote Giuseppe poi, propose e sperimentò la coltivazione dell’agave sisalana per la produzione industriale di fibre tessili


1938cinegiornale Istituto Luce

Piacevole narratore, preciso cronista degli eventi bellici e biografo di importanti militari, ebbe una fitta corrispondenza con tutte le persone più importanti ed influenti della sua epoca; le sue riflessioni, i suoi pensieri e commenti, le sue ricostruzioni rendono testimonianza e fanno luce su tutti gli avvenimenti che lo hanno visto direttamente e indirettamente coinvolto.

Antonino Di Giorgio è stato un protagonista della storia del nostro Paese e la sua memoria va recuperata e protetta, per far conoscere i suoi tanti meriti e per preservare la verità storica che il tempo e il pressappochismo rischiano di annacquare e distorcere.

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