di Dario Caroniti

A San Fratello il 2 gennaio del 1906 Marianna Mancuso, sposata Caroniti, dava alla luce un bambino al quale veniva dato nome Filadelfio. Non gli veniva però fatto alcun festeggiamento, perché due suoi fratellini erano morti a poche settimane dalla nascita e ci si aspettava per lui un destino simile. Invece sopravvisse non solo alle epidemie, ma a due guerre mondiali, a una frana, che distrusse il suo paese, e a tante avversità. Rimasto orfano di madre ad appena 11 anni, andò via giovanissimo dal paese per continuare gli studi. La cultura era per lui un aspetto fondamentale della realizzazione della persona.
Fu per questo che convinse la sorella più piccola a seguirlo a Palermo negli anni ’20 per laurearsi anch’essa. La cultura era per lui una forma di distinzione se non dalla massa senz’altro dall’ignoranza, ma ne aveva una concezione democratica, tanto che voleva che tutti studiassero, cercando di rimuovere tutti gli impedimenti che frenassero il completamento della formazione delle persone, specialmente delle donne. Questo lo faceva sia attraverso la sua azione politica che individuale. Ricordo che appena si accorgeva delle potenzialità di qualcuno cercava di convincere i genitori a fargli completare gli studi promettendo loro aiuti concreti, come la possibilità di vivere a casa nostra per rimanere in città a studiare. Questo suo prendersi a cuore i destini del prossimo credo sia l’insegnamento più significativo che mi abbia lasciato. Si occupò personalmente di migliaia di problemi, soprattutto lavorativi, che avvilivano i suoi paesani (e non solo). Non riusciva neppure a parlare il dialetto sanfratellano, anche se lo capiva, tanto giovane era dovuto andare via, ma ne rimase a tal punto legato che, una volta andato in pensione dalle Ferrovie, si fece eleggere sindaco di San Fratello nel 1973.
E’ lì quindi che io cerco di ritrovare mio padre, nei giorni che come oggi rappresentano per lui un anniversario: tra i boschi di faggio, tra i cavalli che pascolano liberi sulle alture, nella chiesa remota sul Monte Vecchio dedicata ai santi fratelli, tra le case franate e ormai ruderi perduti, tra le macerie del vecchio castello. Lo vorrei cercare anche nella toponomastica del paese, ma leggo soltanto di vie dedicate a Mazzini, Garibaldi e tutti i Savoiardi, quelli che hanno creato le condizioni per fare emigrare verso le Americhe e il Nord Italia l’ottanta per cento dei sanfratellani. San Fratello, come gli altri paesi siciliani, colpito dall’odio col quale è stato trattato, ha quindi dimenticato quanti lo hanno amato.

Da sinistra: Filadelfio Caroniti, Nino Gullotti e Oscar Andò

Filadelfio Caroniti (San Fratello 02-01-1906 – Messina 12-09-1979) fu parlamentare della repubblica italiana dal 1948 al 1953, sindaco di San Fratello dal 1973 al 1977 e ingegnere delle ferrovie dello stato. Nato da Salvatore Caroniti e da Marianna Mancuso, entrambi commercianti, rimase giovanissimo orfano della madre. Dopo avere trascorso la sua infanzia a San Fratello, andò in collegio a Palermo per completare gli studi. Quando una rovinosa frana distrusse il suo paese, l’otto gennaio del 1922, lui si trovava ancora a San Fratello per le vacanze di Natale. Aveva da poco compiuto 16 anni e la sua famiglia aveva già perso la madre, la casa di abitazione e il negozio nel quale si svolgevano le attività lavorative. La gran parte dei suoi parenti era già emigrata verso gli Stati Uniti, mentre Salvatore Caroniti portò la propria famiglia nel territorio di Acquedolci, dove nacque il nuovo abitato, su iniziativa dell’allora ministro della Guerra Antonino Di Giorgio. Le diverse traversie spinsero Filadelfio a dedicarsi ancora più tenacemente agli studi. Prese il diploma con ottimi voti, ottenne anche un secondo diploma che gli consentì di iniziare a lavorare come geometra, e si iscrisse all’Università, sempre a Palermo, in ingegneria. Grazie ai primi lavori che svolse poté portare con sé a Palermo la sorella più piccola, Luigia (detta Gina), che completò gli studi e si iscrisse ai corsi di farmacia. La sorella più grande, Maria Angelina, era già maestra elementare, mentre Maria Luisa rimase a casa con il padre. Durante gli ultimi anni di liceo iniziarono a manifestarsi i suoi interessi per la politica. Filadelfio Caroniti fu inizialmente attratto per le istanze repubblicane, partecipando attivamente a circoli politici nei quali si avversava palesemente la monarchia sabauda. Ciò non gli impedì di laurearsi in regola e con ottimi voti. Ottenuto il titolo di ingegnere, nel 1929 iniziò a collaborare con l`’ufficio tecnico di Acquedolci, partecipando alla redazione del progetto di realizzazione del Cimitero comunale, ma in breve tempo vinse un concorso nelle Ferrovie dello Stato e prese servizio a Messina come funzionario. Nel 1937 dovette iscriversi al Partito Nazionale Fascista per non perdere il posto di lavoro, ma rimase sempre molto critico verso il regime e si avvicinò agli ambienti dell’Azione Cattolica. Nel 1937 si sposò con Ida Cuffari Buttà`, insegnante di matematica, proveniente da una famiglia borghese di Naso. Durante gli anni della seconda guerra mondiale Caroniti fu ispettore capo superiore al movimento delle Ferrovie dello Stato, sempre a Messina. La città e, in particolare, la stazione ferroviaria, furono devastate dai bombardamenti alleati, e lui stesso riuscì a sopravvivere per delle fortunate coincidenze. Nel dopo guerra si distinse per l’attività politica all’interno della Democrazia Cristiana e alle elezioni del 1948 fu candidato al parlamento nazionale, nel collegio della Sicilia orientale, sostenuto elettoralmente dai ferrovieri ma anche da diverse parrocchie della città e della provincia di Messina. Ottiene 38.013 preferenze risultando il sesto della Democrazia Cristiana, poche decine di voti sotto Michelangelo Trimarchi, che risultò il più votato della provincia di Messina con circa 10000 preferenze in più rispetto a Gaetano Martino, eletto nel Blocco Nazionale. Durante il corso della prima legislatura nazionale presenta 15 progetti di Legge, dei quali uno come primo firmatario, e fa 82 interventi parlamentari, evidenziando un carattere battagliero, che lo porta a non essere sempre in linea con la disciplina di partito. Siede nella commissione trasporti – marina mercantile e in quella lavori pubblici, anche se spesso si occupa di istruzione pubblica e, soprattutto, si batte per la ricostruzione delle case distrutte dal terremoto e poi dai bombardamenti, oltre che per la costruzione delle infrastrutture del Mezzogiorno.
Nella divisione in correnti del congresso democristiano del 1949, Caroniti si posiziona nel gruppo dei vespisti, la componente più moderata del partito, con Stefano Jacini e Carmine De Martino, ex esponenti del Partito Popolare. Lui è decisamente progressista quanto a programmi di innovazione tecnologica, ma anche per l’attenzione ai poveri e ai deboli. È però un acceso difensore del diritto di proprietà e, soprattutto, è decisamente conservatore quanto alla difesa dei princìpi della tradizione cattolica. Chiuso a ogni accordo coi socialcomunisti, vorrebbe che la DC costruisse una aggregazione di centro destra. Ciò non toglie che Caroniti stringa rapporti di amicizia con importanti esponenti della DC, tra i quali i futuri presidenti Gronchi e Leone. Alle elezioni del 1953 e 1958 si ricandida con la DC, tuttavia, pur ottenendo nelle due elezioni una ottima affermazione personale, non riesce a essere confermato in Parlamento e torna alla sua attività di dirigente delle Ferrovie. Nel frattempo, nel 1949 nacque la sua prima figlia, Maria Anna. Nel 1961, essendo ormai rimasto vedovo, Caroniti si risposò con Annamaria Fleres, anche lei insegnante di matematica, proveniente da una famiglia borghese di Messina sopravvissuta al terremoto. Con lei ebbe tre figli, Marina, Salvatore e Dario. Dalla seconda metà degli anni Cinquanta la sua sede di lavoro si era spostata a Reggio Calabria, dove arrivò a svolgere mansioni di capo compartimento delle ferrovie in un periodo molto complesso della storia calabrese, basti pensare al deragliamento del treno Palermo Torino, presso Gioia Tauro, il 22 luglio 1970, ai moti di Reggio del 1970-71, alla occupazione della linea ferrata da parte degli abitanti di Africo capitanati da don Giovanni Stilo.
Nel 1969 partecipò al concorso internazionale di idee per un progetto di attraversamento stabile stradale e ferroviario dello Stretto di Messina, bandito dal Ministero dei lavori pubblici. Insieme agli ingegneri Costa e Enrico Fleres, Caroniti propose un istmo in blocchi di cemento, che avvicinasse le due sponde, realizzando infine un ponte a campata ridotta, maggiormente rispondente alle capacità tecnologiche dell’epoca. Il progetto presentava inoltre aspetti particolarmente innovativi, come lo sfruttamento della forza delle correnti marine per la produzione energetica, oltre alla realizzazioni di una nuova portualità particolarmente rivolta alle imbarcazioni da diporto per il lancio del turismo. La commissione preferì tuttavia la soluzione del ponte sospeso a campata unica, sicuramente più affascinante, ma allora tecnicamente non realizzabile, essendo il ponte più lungo fino a quel momento realizzato minore di un terzo rispetto a quello che sarebbe dovuto sorgere sullo Stretto. Ancora adesso, 50 anni dopo, nessun ponte sospeso di tre km è stato finora costruito.
Nel 1972-73 si pensò che Caroniti sarebbe stato nominato finalmente capo compartimento della tratta ferroviaria Reggio Calabria Salerno. Nel governo era allora ministro dei lavori pubblici il messinese Antonino Gullotti. Gli fu invece preferito un suo avversario storico all’interno delle ferrovie, l’ing. Bitto, espressione di una cordata legata alla sinistra DC, dalla quale un decennio dopo venne fuori il presidente delle Ferrovie Lodovico Ligato. Andato in pensione nel 1973, Caroniti tornò subito a stabilirsi a Messina e riprese l’attività politica, candidandosi al consiglio comunale di San Fratello. L’eccezionale numero di preferenze ottenute nelle elezioni lo condusse a essere scelto dal consiglio quale sindaco. Nel periodo della sua sindacatura furono realizzate, o comunque avviate, opere pubbliche di eccezionale importanza per il paese, come la Chiesa e il quartiere di San Nicolò, lo Stadio, la biblioteca, l’acquedotto etc. Nonostante ciò nel 1977 la direzione provinciale della DC decise che Caroniti non doveva essere confermato sindaco, cosicché egli decise di non ricandidarsi e di allontanarsi dal partito nel quale aveva militato, ma del quale rinnegava le aperture al PCI che in quegli anni si stavano profilando. Due anni dopo Filadelfio Caroniti morì a Messina il 12 settembre del 1979, stroncato da un tumore ai polmoni che lo colpì irrimediabilmente, nonostante non fosse un fumatore.

Da sinistra in primo piano: dott. Sidoti, Sindaco Caroniti, Alfio Bellitto, Savio Luigi;
in secondo piano: Lo Cicero Filadelfio, Mondello Benedetto, Caiola Filadelfio e Francesco Vieni. (da Facebook)

Filadelfio Caroniti, su storia.camera.it

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